Plant: “I social ci hanno disumanizzati”

"Viviamo in una società finta, nessuno mostra più le proprie fragilità".

Plant: "I social ci hanno disumanizzati"Plant: "I social ci hanno disumanizzati"
Interviste

Dopo aver conquistato il palco dell’Ariston con La Sad e il brano Autodistruttivo, Plant debutta da solista con Piccolo me, un brano intenso e introspettivo che segna un nuovo capitolo nella sua carriera. In questa intervista, Francesco Clemente – vero nome dell’artista – si racconta senza filtri tra musica, crescita personale e bisogno di autenticità umana. In un panorama musicale spesso dominato da apparenze e superficialità, la sua voce risuona come una richiesta di verità, empatia e connessione.

Quando è nata la tua passione per la musica?
“Plant: “Avevo circa 8 anni. Mia nonna mi regalò una piccola chitarra classica. Da lì ho iniziato a strimpellare, poi col tempo ho capito che la musica sarebbe stata parte fondamentale della mia vita”.

Come sei arrivato al rap?
“È successo a 15 anni, nel 2015. Sentivo il bisogno di esprimermi in un modo più diretto. Ho iniziato a scrivere e registrare da solo, anche se all’inizio era tutto molto amatoriale. Poi sono arrivati i contest di freestyle, le prime connessioni… il fuoco era acceso”.

Chi ti ha influenzato musicalmente agli inizi?
“Sicuramente Fabri Fibra ed Eminem. Li ascoltavo tantissimo da adolescente. Ma crescendo ho capito che non volevo copiare nessuno. La vera sfida era trovare la mia voce”.

C’è stato un momento in cui hai capito davvero cosa volevi dalla musica?
“Sì, nel 2019. Ero stato sfrattato, mi trovavo a Milano, solo, senza soldi. È stato uno dei periodi più bui della mia vita. È lì che ho capito che non volevo fare musica solo per sopravvivere al dolore, ma per comunicare emozioni vere”.

Oggi come descriveresti il tuo stile?
“È personale, profondo. Mi interessa poco seguire i trend. Voglio parlare di cose vere, di emozioni che ti spaccano ma che ti fanno anche sentire meno solo. Voglio che la mia musica sia un ponte tra le persone”.

Quanto ha contato il tuo manager nel tuo percorso?
“Tanto. Ho conosciuto Tommy nel 2019, proprio quando ero in crisi. È stato il primo a credere in me in un modo concreto. Mi ha dato una direzione, una fiducia che non avevo mai ricevuto prima”.

Parliamo di Sanremo. Che esperienza è stata per te?
“Un’emozione fortissima. È stato un momento inaspettato, un cerchio che si è chiuso. Ma oltre al palco, la cosa più forte è stata vedere mia madre lì, seduta accanto a Lino Banfi. È stato surreale. La fama è bella, ma sono quei momenti a rimanerti dentro”.

In Piccolo me parli anche del giudizio sociale. Che rapporto hai con la società di oggi?
“Viviamo in una società finta. Tutti vogliono sembrare perfetti, nessuno mostra più le proprie fragilità. I social ci hanno disumanizzati. Io voglio il contrario: mostrare chi sono, anche quando non fa comodo”.

Pensi che la musica possa cambiare qualcosa?
“Assolutamente. La musica unisce, consola, guarisce. L’ho visto coi miei fan: si sono conosciuti grazie a me, si sono supportati nei momenti difficili. È una forma di terapia, per me e per loro”.

C’è qualcosa del tuo carattere che vorresti cambiare?
“Sì, sono molto paranoico. Anche quando le cose vanno bene, trovo sempre un motivo per stressarmi. A Sanremo ero in top 10, ma continuavo a lamentarmi perché non ero tra i primi. È dura vivere con questa ansia costante. Sto lavorando per imparare a godermi di più ciò che ho”.

Che rapporto hai con il tuo pubblico?
“Bellissimo. Non li vedo come “fan”, ma come persone che capiscono il mio dolore. Quando mi scrivono storie di vita vere, spesso peggiori delle mie, mi sento parte di qualcosa. La mia musica è per loro, non per seguire una moda”.

Che ne pensi dei talent show?
“Non credo che ci parteciperei. Il successo che arriva da un giorno all’altro può essere pericoloso. Preferisco una crescita lenta ma vera. Voglio che chi mi ascolta lo faccia perché si rivede in quello che racconto, non perché sono passato in TV”.

Hai vissuto periodi difficili legati agli eccessi?
“Sì. Ho avuto a che fare con la droga e con gli psicofarmaci. Sembravano una soluzione, ma alla fine mi hanno solo allontanato da me stesso. Ora sono pulito, ma è stato un percorso lungo. La sofferenza ti cambia, ma ti insegna anche tanto, se sai guardarla in faccia”.

Oggi il panorama musicale punta molto sull’immagine. Che ne pensi?
“L’immagine è importante, ma non può essere tutto. Anche a me piace curare il mio stile, fa parte del mio linguaggio. Ma se sotto non c’è sostanza, non resti. La musica deve parlare al cuore, non solo agli occhi”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Sto lavorando al mio primo disco da solista. Sarà un lavoro intimo, profondo. Dentro ci metterò tutta la mia vita, anche le parti che fanno male. Voglio spogliarmi di tutte le maschere e mostrare davvero chi sono. Sarà il mio viaggio verso la libertà artistica e personale”.

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