Per oltre settant’anni, gli archeologi giapponesi hanno pensato di aver tra le mani le ossa di uno dei primi abitanti del Giappone. Un omero e un pezzo di femore, trovati negli anni ’50 vicino a Toyohashi, hanno fatto sognare generazioni di studiosi.
Il colpo di scena
Ma la verità, come spesso accade, ha deciso di farsi un bel colpo di scena. Il paleoantropologo Gen Suwa, dell’Università di Tokyo, ha messo sotto la lente i famosi resti usando tecnologie moderne come le scansioni CT. E il responso ha lasciato tutti a bocca aperta: “La forma interna dell’omero era inequivocabilmente quella di un orso”. Insomma, più che un antenato umano… era un vecchio orso bruno, precisamente un Ursus arctos. Un errore lungo decenni, ma anche una dimostrazione di quanto la scienza sappia prendersi in giro (e correggersi) con grande stile.
Una riscrittura storica… con zampate di orso
La scoperta del team guidato da Suwa cambia le carte in tavola per la preistoria giapponese. I veri fossili umani più antichi risalgono a circa 14.000–17.000 anni fa, e le tracce ancora più datate (ma non ossee) toccano i 32.000 anni nelle isole Ryukyu. Quindi no, quei resti trovati negli anni ’50 non rappresentano l’alba dell’uomo in Giappone, ma piuttosto l’ultimo ruggito di un grande plantigrado. “La forma interna dell’omero era inequivocabilmente quella di un orso”, ha ribadito Gen Suwa, sottolineando con orgoglio quanto la tecnologia moderna sappia distinguere anche dove l’occhio umano ha fallito. Morale? Mai fidarsi di un osso al primo sguardo!