Achille Costacurta si mette a nudo nel nuovo episodio di One More Time, podcast di Luca Casadei prodotto da OnePodcast. La puntata è disponibile dal 31 ottobre in versione audio su Spotify e dal 4 novembre anche in video su YouTube. Il 21enne, figlio dell’ex calciatore Billy Costacurta e dell’attrice Martina Colombari, ripercorre senza filtri un’adolescenza segnata da detenzione, TSO, dipendenze, ADHD non diagnosticato, rabbia e un tentativo di suicidio. Fino al suo percorso di rinascita lontano dal caos di Milano.
La chiacchierata è densa, a partire da come l’ADHD sia stato scoperto solo di recente, dopo anni di difficoltà scolastiche e comportamentali. “In terza media non mi ammettono all’esame per il comportamento. Al liceo dopo 3 mesi mi sbattono fuori. Non mi avevano ancora diagnosticato l’ADHD, lo scopro a maggio dell’anno scorso perché andando in questa clinica in Svizzera, dopo aver esagerato con le sostanze, loro avevano già capito tutto senza farmi fare i test. […] Da quando i miei genitori hanno fatto anche loro un corso genitoriale per l’ADHD, il nostro rapporto è cambiato da così a così”.
Le droghe, i TSO e il tentato suicidio
Ma è soprattutto quando si tocca il tema della droga, del TSO e della violenza subito che il racconto diventa durissimo. Achille Costacurta ricorda la spirale delle sostanze e i sette TSO ricevuti: “Ho iniziato a fumare a 13 anni. Al compleanno dei miei 18 anni ho provato la mescalina. Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti sette. Il problema era che, quando me l’hanno fatto a Padova, perfetti, gentilissimi, a Milano mi hanno legato al letto per tre giorni perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso”.
Il punto più buio arriva a 15 anni e mezzo, durante un periodo di comunità terapeutica dopo l’arresto per spaccio. “Ho iniziato a spacciare fumo. Arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete e mi hanno arrestato a 15 anni e mezzo. Quindi faccio il mio primo compleanno dei 16 anni lì, centro penale comunità terapeutica. Non ce la facevo più, aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria. Lo chiudo dentro l’ufficio, lui con le sue chiavi riesce a uscire”.
“Io però nel frattempo ero già in infermeria – prosegue Achille – e prendo tutto il metadone che c’era, sette boccettine, mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta, poi l’ambulanza. Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo”.

A fare da vero spartiacque, l’esperienza in Svizzera. “Quando sono andato in clinica in Svizzera mi hanno detto: ‘se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto’ perché hai il cuore a riposo a 150 battiti […]. Mi hanno fatto cambiar vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita”.
Achille parla con delicatezza della sofferenza vissuta da mamma Martina e papà Billy. “Mia mamma ha pianto tanto. Mio papà l’unica volta che gli ho visto scendere una lacrima è stato quando mi hanno proprio portato via. Quando mi avevano fatto il depot, io tutti i giorni chiedevo di andare a fare l’eutanasia perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì l’ho visto piangere”
Il ricordo più luminoso arriva all’uscita dalla clinica: “Il giorno che esco dalla clinica mi viene a prendere mio papà. C’era un doppio arcobaleno. Io li scoppio a piangere dalla gioia, dalla felicità, abbraccio fortissimo mio papà e gli dico: ‘hai visto che ce l’abbiamo fatta, ho smesso, e ce la farò e continuerò. Ce lo sta dicendo pure il cielo. C’è il doppio arcobaleno ti rendi conto?’. È stato uno dei momenti più fighi. Anzi, dopo chiamerò mio padre per ricordarglielo”.
Oggi Achille Costacurta racconta una vita più consapevole, fatta di progetti concreti e desiderio di aiutare gli altri. “Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi ma a farne tesoro. Avendo provato gli eccessi, ora ci sono poche cose che mi fanno veramente felice. Perché le sostanze stupefacenti ti fanno provare queste emozioni che non ritrovi”.
“L’unica cosa che mi fa avere le farfalle nello stomaco come l’amore sono i ragazzi con la sindrome di down. Perché non l’hanno scelto loro. Non è una persona che si è drogata e adesso è in mezzo alla strada. È una persona che non ha scelto di nascere così. Io li devo aiutare. È una delle poche cose che mi fa essere troppo felice, Il mio obiettivo è creare centri con i miei ideali, con i cavalli per fare ippoterapia, viaggi che voglio far fare, day hospital che voglio creare, devono essere davanti al mare, ogni ragazzo deve avere il suo labrador che lo porta a fare il bagno, farli venire anche dall’Africa perché nella religione vudù se sei albino, se sei autistico, se sei down ti ammazzano”.

